Doppie preferenze (un uomo, una donna) sulle schede elettorali, liste dove deve essere assicurata la rappresentanza dei due sessi (in nessun caso uno dei due generi può superare i due terzi dei candidati), parità di genere “garantita”
e non più solo “promossa” negli organismi istituzionali. La nuova legge 215/2012 sulla “Democrazia paritaria”, pubblicata sulla gazzetta Ufficiale lo scorso 11 dicembre e dunque in vigore dal 26 dicembre 2012, modifica l’accesso alle cariche elettive e agli organi esecutivi (giunte) dei soli enti locali (comuni, province, regioni), senza incidere invece sulle elezioni al Senato e alla Camera, la cui riforma è stata congelata. Ma, anche se si parte dal basso e se si potrebbe fare ancora di più per garantire l’accesso in politica alle donne, la nuova normativa, sostenuta anche dall’Anci (Ass. Naz. Comuni It.), può essere considerata un buon inizio. A tal punto che alcuni partiti già ne hanno dato applicazione, alcuni in maniera formale, altri in maniera sostanziale, nelle primarie per le parlamentari, anche se si voterà ancora col vecchio sistema. La legge è composita e pone correttivi, introducendo elementi di parità, a diverse normative: tra queste, all’art.1 impone che venga “garantita” la parità di genere che invece è ad oggi solo “promossa” nel testo unico sull’ordinamento degli enti locali, obbligando alla modifica di statuti comunali e provinciali.
La parte più corposa riguarda però l’art. 2 sulla parità di accesso alle cariche elettive e agli organi esecutivi di comuni e province che prevede, nell’indicazione dei voti di preferenza, che vengano scritti i cognomi di due candidati di sesso diverso, pena squalifica del secondo. Così come potranno essere depennati (partendo dal basso) i nomi di candidati appartenenti ad un genere (di solito il surplus è maschile) che superino il massimo dei due terzi, col rischio, per una lista, di non arrivare al numero minimo previsto o di finire ricusata. L’art. 4 sembra invece stato scritto come (giusta) reazione alla vicenda di Laura Puppato, ignorata quasi fino all’ultimo dalla maggior parte dei mass media nella sua corsa alle primarie del centrosinistra (“sono stata coperta da un burqa mediatico” aveva commentato lei stessa): “gli organi di informazione – si legge – sono tenuti al rispetto dei principi dell’art.51 della Costituzione per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini”. Fatta la legge, fatto l’inganno: chi vuole troverà il modo per aggirare anche questa normativa (se le donne, ad esempio, fossero solo un terzo e non sostenute nei ruoli di vertice, non fossero proposte come sindaca o presidente di provincia, il loro ruolo sarebbe destinato a restare marginale). Serve senz’altro un cambiamento culturale e un nuovo welfare meno androcentrico. Ma è comunque un primo, significativo, passo compiuto per condurre l’Italia verso una democrazia più paritaria.
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